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Twitter: è vero che è ormai una «strada verso la rovina del giornalismo»?

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In un editoriale pubblicato sul quotidiano web The Australian (dicembre 2020) si sostiene che Twitter è ormai una «strada verso la rovina del giornalismo». Secondo il giornale, si è formato un «universo mediatico alternativo», abitato da tweeter controversi e narcisisti, che mette in pericolo il futuro del reportage giornalistico.

A stroncare Twitter, la rete sociale nata a San Francisco nel 2006 utilizzabile da tutti, è anche Aldo Grasso, sul Corriere, che dice:

In altre parole, milioni e milioni di persone invece di raccontare il mondo (secondo le “vecchie” regole del “nuovo” giornalismo) hanno cominciato a raccontare sé stessi, ad autorappresentarsi, a promuovere ogni loro azione su un palcoscenico globale. […]

Da cosa nasce la delusione verso un social ormai così presente nella nostra vita?

Basta frequentare un po’ le pagine italiane di Twitter per accorgersi che c’è più auto- promozione che informazione: «Stasera, alle 18, partecipo al programma di ***»; «Ho intervistato Tizio»; «Grazie per questa bellissima recensione»; «Ho scritto questo su come creiamo cose che non esistono, come piacciono a noi, con le parole imburrate»; «La nipote seienne mi dice “io vado a scuola, è faticoso; tu chiami al telefono i cantanti, non è faticoso”. E non mi viene di correggerla, nemmeno dopo l’anno lavorativo più pesante della mia vita».

In effetti, alcune recenti ricerche hanno cercato di capire perché su Twitter si scriva sempre più di argomenti personali, dando per scontato una accentuazione del narcisismo (i social vengono utilizzati maggiormente da chi manifesta tratti narcisistici, ma i tratti narcisistici vengono poi ulteriormente aggravati dal loro uso compulsivo). Due sembrano essere le spinte più significative: farsi conoscere (è ovvio) e cercare l’interazione con gli altri utenti che riproduca, virtualmente, il fenomeno della “compagnia”, il gruppo di amici adolescenziali uniti da interessi comuni.

Di fronte alla complessità, cerchiamo compagnia.

E’ la conclusione di Grasso.

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