Aqualung

I primi 50 anni di Aqualung

Cult

Correva l’anno 1971, precisamente il 19 marzo, quando i britannici Jethro Tull, o meglio Chrysalis, la loro etichetta, portarono il loro quarto album, Aqualung, nei negozi di dischi dell’epoca, probabilmente, se non certamente, il loro miglior lavoro in assoluto e tra i più importanti progetti musicali del Novecento.

Non è stato facile farsi strada nella scena musicale tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 in Inghilterra, ovunque c’erano band che avevano già successo o, di lì a poco, lo avrebbero raggiunto; citiamo a memoria Led Zeppelin, Deep Purple, Procol Harum, Emerson Lake & Palmer, Gong, King Crimson, Van der Graaf Generator, Yes, Pink Floyd, Genesis e ci fermiamo qui, perché l’elenco potrebbe sicuramente continuare.

In questo panorama emozionante per l’ascoltatore, frustrante per il musicista (vista l’esasperata concorrenza), emerge il “quintetto” fondato dallo scozzese Ian Anderson nel 1967, fondamentale “marker” del sound tulliano con il suo inconfondibile flauto (preferito alla  chitarra per non confrontarsi con Jimi Hendrix ed Eric Clapton) e con un’eccezionale padronanza del palcoscenico, ormai considerato inossidabile, come di diritto per ogni mito rock.

La band si chiama ancora così, Jethro Tull (dal nome di un agronomo del XVII secolo). Da quel lontano 2 febbraio 1968 – prima apparizione al Marquee Club di Londra -, le formazioni della band sono cambiate 14 volte e hanno trovato posto – nel corso dei decenni – 36 musicisti diversi, ma sempre e solo un cantante, Ian Anderson.

Ma torniamo al festeggiato.

“Aqualung” è l’album della maturità artistica e anche della completezza della formazione che poi avrà successo negli anni, vendendo complessivamente molte decine di milioni di dischi. I testi sono duri, difficili e “cattivi”.

Aqualung, il brano che dà il titolo all’album, ci spaventa, mentre scruta le bambine con cattive intenzioni nel parco, il suo tormento si fonde con la voce e l’interpretazione di Ian Anderson, l’assolo di chitarra di Martin Barre è assolutamente perfetto e quasi esilarante. La parte finale (“di di di“) emoziona ad ogni ascolto.

Sul retro della copertina appare un decalogo (anzi un ennalogo)

1. In principio l’Uomo creò Dio; e ad immagine dell’Uomo egli lo creò.
2. E l’Uomo diede a Dio una moltitudine di nomi, perché fosse il Signore di tutta la terra quando l’Uomo l’avesse deciso.
3. Ed il settemilionesimo giorno l’Uomo si riposò e si appoggiò pesantemente sul suo Dio e vide che era cosa buona.
4. E l’Uomo formò Aqualung dalla polvere della terra, e una schiera di altri suoi simili.
5. E questi uomini inferiori furono gettati nel vuoto; ed alcuni furono bruciati, ed alcuni furono separati dalla loro specie.
6. E l’Uomo divenne il Dio che egli aveva creato, e con i suoi miracoli regnò su tutta la terra.
7. Ma mentre tutte queste cose accadevano, lo Spirito che aveva causato la creazione di Dio da parte dell’Uomo continuò a vivere in tutti gli uomini; persino in Aqualung.
8. E l’uomo non se ne accorse.
9. Ma per l’amor del cielo è meglio che cominci a stare in guardia.

…quanta distanza dalla censura infantile italiana per “4/3/1943” di Lucio Dalla, dello stesso anno.

Cosa potremmo raccontarvi di più che altri non abbiano già detto? Ascoltatelo voi stessi, va bene anche online, ma poi compratelo!

Un disco che acquista valore nel tempo e non solo sentimentale (i primi vinili si valutano intorno ai 150/200 euro, ma sono così difficili da trovare che chi li possiede li tiene stretti). Ad ogni ascolto successivo si  colgono ulteriori sfumature e come tutti i capolavori non può mancare in nessuna discografia che si rispetti.

E se pensate che questo sia l’unico anniversario, vi diamo subito l’appuntamento per i prossimi 50 anni tulliani: nel 2022 sarà il turno di “Thick as a Brick”, sempre in primavera.

Tracklist:

lato A: Aqualung – Cross-Eyed Mary – Cheap Day Return – Mother Goose – Wond’ring Aloud – Up To Me

lato B: My God – Hymn 43 – Slipstream – Locomotive Breath – Wind Up.

Line-up: Ian Anderson (flauto traverso, chitarra acustica e voce) – Clive Bunker (un migliaio tra batteria e percussioni) – Martin Barre (chitarra elettrica e flauto dolce) – John Evan (pianoforte, organo e mellotron) – Jeffrey Hammond Hammond (basso, flauto contralto, voce).

Arrangiamenti orchestrali e direzione David Palmer.

Produzione Ian Anderson e Terry Ellis.

Registrazione Island Studios, Londra.

Illustrazioni Burton Silverman.

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